Il Ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, incaricato dal premier Mario Draghi, ha incontrato il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, per capire se vi fossero le condizioni per avviare nel nostro Paese la produzione autonoma dei vaccini già autorizzati. Una soluzione che si rende necessaria alla luce dei tagli e dei ritardi nelle forniture dei vaccini di AstraZeneca e Pfizer. Dall’incontro sono emerse le principali criticità da risolvere prima di arrivare all’indipendenza produttiva, che dovrebbe consentire di portare a termine la campagna di immunizzazione della popolazione nel più breve tempo possibile.

Il primo scoglio da superare per produrre i vaccini in casa è dato dal fatto che in Italia non ci sono gli impianti. Il secondo nodo è il fattore tempo, considerando che una volta avviata la produzione passerebbero dai 4 ai 6 mesi prima di avere il prodotto finito.  Sebbene mettere in piedi una produzione dall’inizio non sia certamente un’impresa facile, dall’incontro al Mise è emersa la volontà di realizzare un contributo italiano nella produzione di vaccini anti-Covid, attraverso l’istituzione di un polo nazionale pubblico-privato. Le regioni Lazio e Lombardia potrebbero essere punti nevralgici dove immaginare una riconversione degli impianti per la produzione di vaccini nel medio lungo periodo. C’è la volontà di stanziare risorse e organizzare i siti.

Essendo il vaccino un prodotto vivo, non di sintesi, necessita di una bioreazione dentro una macchina denominata bioreattore. La principale criticità nel realizzare nuovi impianti produttivi nella nostra nazione risiede proprio nella scarsa presenza di bioreattori. Per tale ragione il Governo sta verificando la possibilità di riconvertire quelli esistenti per altri vaccini, operazione che sarebbe comunque non immediata, o di produrli ex novo, individuando imprese idonee alla realizzazione in tempi rapidi.

Dunque se l’ostacolo maggiore per l’avvio dei nuovi impianti è dato dalla scarsità di bioreattori, una risposta immediata arriva dall’Associazione AIPE, che rende noto che in Italia le imprese in grado di produrli ci sono e sono pronte ad essere coinvolte.

«Le aziende dell’Associazione Italiana Pressure Equipment (AIPE) – organizzazione associativa imprenditoriale che rappresenta i produttori italiani di Apparecchi Critici per impianti industriali nei settori dell’Energia, Oil & Gas, Chimico, Petrolchimico e Farmaceutico con 115 aziende affiliate e circa 8000 addetti – sono disponibili a dare una mano per quanto riguarda la produzione dei bioreattori», dichiara Luca Tosto, Presidente dell’Associazione AIPE, in risposta alla “chiamata nazionale”.

AIPE si posiziona come l’organizzazione più rappresentativa del comparto della caldareria e della relativa filiera produttiva in Italia.

«Siamo pronti a produrre i bioreattori in tempi brevi, lavorando anche di notte se necessario. Il nostro obiettivo è quello di offrire un contributo concreto al Paese per uscire al più presto da questa pandemia che sta danneggiando il tessuto economico italiano. Sarebbe inoltre l’occasione per convertire una crisi di proporzioni storiche in una opportunità di sviluppo tecnologico e industriale delle aziende che rappresentano l’economia reale», conclude il Presidente dell’AIPE.